La cosa più bella di certe icone musicali riconosciute da tutti è che hanno fatto cose talmente grandi e belle che si potrebbero omaggiare in ogni modo. Certo, a volte si può scadere nel banale anche affrontando certe figure, ma non è questo il caso dell'iniziativa Voci Interrotte, tenutasi recentemente ad Officina Giovani. Il progetto si compone di tre serate dedicate ad altrettante grandi donne della musica: Billie Holiday, Janis Joplin ed Amy Winehouse. Gli spettacoli riguardanti le prime due artiste si sono già svolti, questo lunedì e quello precedente; mentre il terzo si terrà il 25, sempre ad Officina. I punti in comune a tutte e tre le serate sono l'incredibile abilità e creatività delle tre donne, ma anche le vite ugualmente tormentate e costellate di difficoltà, che non hanno comunque impedito loro di far sentire le proprie voci, anche se queste sono state poi, appunto, bruscamente interrotte.
Dunque la prima artista omaggiata è stata Billie Holiday. L'intera serata è stata meravigliosa e molto emozionante; e non solo per l'abilità dei musicisti, i quali si sono dimostrati veramente bravi e talentuosi, ma anche (e soprattutto) per la fantasia del taglio dato allo spettacolo. Sul palco infatti si sono avvicendati momenti musicali, momenti teatrali e in più alcuni interventi dell'esperto di jazz Stefano Zenni. Per la particolarità della serata bisogna ringraziare l'associazione Ipazia e la direttrice artistica Francesca D'Ugo, che hanno gestito e organizzato lo spettacolo. Le parti più emozionanti sono state certamente i due set musicali tenuti dal Michela Lombardi Jazz Quartet. Il gruppo era composto da un pianista, un batterista, un contrabbassista e una cantante: Michela Lombardi,appunto. Le performance si sono distinte soprattutto per la voce, di un'intensità fortissima, e per il suono cristallino di tutti gli strumenti. Tra le dieci canzoni presentate le due che ho preferito sono state “Strange Fruits” e “God Bless the Child”. La prima è forse il pezzo più noto di Billie Holiday; durante lo spettacolo ne è stato letto il testo, che parla dei linciaggi dei neri nel sud degli Stati Uniti, e il quartetto ne ha portato sul palco una meravigliosa versione solo contrabbasso e voce. Proprio per il suo tema così duro l'esecuzione è stata molto minimale, in modo da poter dare spazio alla pesantezza dello strumento che, con un arrangiamento strepitoso ha sottolineato perfettamente il cantato. “God Bless the Child”, invece, è stato tutto il contrario. L'esecuzione è stata molto carica, più dell'originale, e il cantato è stato il migliore di tutta la serata. La parte strumentale nel mezzo poi ha creato un meraviglioso crescendo che ha portato fino all'ultimo ritornello, di un'intensità fortissima, tanto che chiudendo gli occhi sembrava di ascoltare la stessa Billie Holiday.
Se il primo spettacolo è stato improntato più sulla musica che sulla vita dell'artista, il secondo dedicato a Janis Joplin, che bilanciava i due aspetti e aggiungeva anche quello della cultura del periodo, è stato ancora meglio. I pezzi suonati sono stati meno, solo sei, ma grazie alle parti recitate e alle letture ne è risultato un lungo percorso attraverso tutta la vita della cantante e la difficile epoca che sono stati gli ultimi anni '60. La protagonista della serata è stata Valeria Neri che ha cantato e ha declamato quasi tutte le parti tratte dalla biografia dell'artista. A differenza dello spettacolo precedente qui ogni segmento era collegato all'altro, riuscendo comunque a sostenersi anche da solo. Una parte molto bella è stata l'introduzione a “Me and Bobby McGee”, nella quale una delle attrici si recava sul palco e, mentre Valeria Neri leggeva ancora qualche passo riguardante la canzone, si sedeva mimando l'attesa di un treno e iniziava a suonare (in playback) l'armonica. Un'altra performance teatrale che ho molto apprezzato è stata quella di Luisa Uva, che dopo il video iniziale ha letto una citazione di Janis, nella quale si è immedesimata tantissimo, tanto da assumere una voce uguale a quella che, almeno io, immagino avesse la Joplin. Anche in questo spettacolo comunque la parte musicale non è stata inferiore rispetto al resto, soprattutto per il cantato aspro e veramente blues. Stavolta la band, che era composta da basso, chitarra, batteria e voce, ha dato meno spazio ai musicisti lasciando soltanto qualche momento per gli assoli, notevole quello di “Buried Alive in the Blues” . Il miglior pezzo in cui si sono cimentati è stato il celeberrimo “Piece of My Heart”, che ha vantato un momento strumentale del chitarrista molto potente e caricato, ma soprattutto un finale incredibilmente coinvolgente con una ripetizione del ritornello straordinaria ad opera della cantante. Al termine dell'esibizione gli applausi sono durati moltissimo ed hanno reso il giusto omaggio ai musicisti, agli attori e in generale a tutti gli organizzatori della serata. Adesso non mi resta che aspettare l'ultimo spettacolo su Amy Winehouse, e sperare che sia all'altezza dei predecessori, anche se, visto l'incredibile lavoro fatto da Ipazia e da Francesca D'Ugo e tutti i loro collaboratori, se ne può essere certi.
Mattia Brienza (14 anni)
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